Investimenti Jp Morgan, profitti enormi: caso studio 2010

Almeno c’è continuità. Dopo un ottimo terzo trimestre, J.P. Morgan Chase ha mostrato ieri di essere in grado di “tenere” bene anche nel quarto al punto di poter battere le previsioni degli analisti.

I profitti trimestrali in chiusura d’anno sono stati di 3,3 miliardi di dollari, il 9% in meno rispetto ai risultati del terzo, ma pur sempre a 74 centesimi per azione contro le stime medie attese di 61 centesimi e contro un poverissimo risultato di 6 centesimi per azione un anno fa. Un segnale positivo che conferma la ripresa del settore.

E che troverà quasi certamente un contrappunto la settimana prossima nei risultati delle altre principali banche americane.

Detto questo, come del resto hanno chiarito sia il direttore finanziario Michael Cavanagh che l’amministratore delegato, sul settore in generale e per i conti di J.P. Morgan Chase in particolare restano alcune ombre sul credito al consumo sui mutui immobiliari e su altre attività legate al settore più tradizionale delle banche commerciali. Era questo, peraltro, il settore su cui puntava di più l’amministrazione.

L’obiettivo all’inizio dell’anno era quello di una partita di scambio: a fronte di pacchetti di aiuti, garanzie della Fed sui mercati obbligazionari e una riduzione dei tassi di interesse vicino allo zero, le banche avrebbero dovuto redistribuire il loro credito “agevolato” sul mercato del credito, per aiutare piccole medie aziende, stimolare i consumi, stabilizzare la crisi immobiliare e contribuire a un rilancio dell’economia. Questo, come sappiamo, non è avvenuto.

Con conseguenze negative peri rapporti fra Washington e le istituzioni finanziarie. È di un paio di giorni fa la notizia di nuove tasse sulle banche imposta dall’amministrazione. E ha colpito la retorica molto aggressiva nei confronti delle banche usata dal presidente in persona.

Anche per questo Jamie Dimon si è sentito in dovere di giustificare la prudenza nel settore al consumo e del credito al consumo. A fronte di un patrimonio di bilancio di 2mila miliardi di dollari in tempi normali i ritorni sarebbero stati migliori di quelli di ieri. Ma questi non sono tempi normali. I profitti del trimestre sono stati trainati dalle attività di advisory nell’investment banking, che hanno portato utili per 1,9 miliardi di dollari nel quarto trimestre, contro perdite complessive per 2,36 miliardi del 2008.

Per l’anno i profitti della divisione sono stati per 6,8 miliardi di dollari, la voce principale nei profitti complessivi dell’istituto, calcolati per l’intero 2009 in 11,7 miliardi di dollari, 2,26 dollari per azione, contro i 5,6 miliardi, 1,35 dollari per azione, del 2008. Il settore carte di credito ha generato invece perdite e le attività di banca commerciale sono rimaste in territorio positivo ma hanno pur sempre mostrato una diminuzione dei profitti del 53% a quota 224 milioni di dollari.

Questo dà un’idea di come stanno le cose: i profitti vengono più da attività speculative e da operazioni di advisory che dalle attività più tradizionalmente commerciali di un gruppo come J.P. Morgan Chase. E Dimon proprio per le persistenti fragilità ha aggiunto 2 miliardi di dollari alle riserve per rischio perdite.

Anche per questa “volatilità” di performance, il titolo è stato in ribasso un po’ tutta la giornata subendo considerazioni non troppo positive da parte di alcuni analisti. In chiusura il ribasso è stato del 2,28% e il titolo è sceso a quota 43,74 dollari. Per Dimon inoltre vi è stata la coda delle audizioni di mercoledì scorso, con considerazioni molto aggressive da parte di molti editoriali dei giornali per le mancate spiegazioni e per l’ostinazione con cui i banchieri si elargiscono bonus miliardari.